Il danzatore che dorme. Su coreografia & sonno

2025-05-06

«immunda somnia et immunda visiones» (apocrifo)

Nella scena contemporanea può capitare di vedere un danzatore che dorme. Non perché a riposo da fatiche intraprese o da intraprendere, ma proprio perché già nella sua performance. Disegnata, calcolata, operativa: corpo immobile in ogni dettaglio e in assoluto silenzio, fuori dell’attesa o di ogni altra funzione a venire. In una stasi volontaria, indifferente al circostante e al mondo tutto. E il mondo non può che cedere, a tanta forza, come scrive Kafka: «Il mondo verrà ad offrirsi a te perché lo smascheri, non può fare altrimenti, si voltolerà estasiato ai tuoi piedi».
            Sullo sfondo c’è il noto frammento di Eraclito: «I desti hanno un mondo unico e comune, ma ciascuno dei dormienti si ritira in un mondo proprio» (89/99, ed. G. Colli): con cui da una parte viene messo in discussione il valore dell’esperienza onirica (poiché ogni regola del nostro comportamento deve essere quella di seguire ciò che è comune), e dall’altra il mondo particolare di chi dorme e quello comune di chi veglia sono messi in un rapporto di integrazione piuttosto che di esclusione.
            L’atto di «lasciarsi volontariamente cascare nel sonno» è una scelta di (resistenza al) movimento informata di una precisa tecnica posturale, ma riluttante a un immediato tornaconto di leggibilità. È una scelta che rigetta l’esibizione di una competenza e di uno specialismo, e consente nuove riflessioni che coinvolgono il senso dell’azione al di fuori della temporalità lineare: il ritorno del passato come memoria spettrale; la «morte dell’essere, dell’uomo produttivo» (Malevič); una vera e proria rinuncia all’onniscenza, all’onnipresenza e onnipotenza (rinuncia a Dio?).
            A partire dalla presenza di una gestualità ferma, perché appesa al sonno, di figure dormienti nei più recenti lavori performativi e coreografici della scena internazionale, a partire dal “work-in-progress permanente” di Trajal Harrell, (Tickle the Sleeping Giant, 2001-2012), ai corpi ‘buttati’ sulle scale del MoMA nella live installation di Maria Hassabi(Plastic, 2016), all’appoggio forzato nell’incontro di due corpi di Alexander Vantournhout & Bauke Lievens (Raphaël, 2017), o fischiettanti in un dormiveglia sonnambulo come per Boris Charmatz (Somnole, 2021), avvinghiati al picco di una montagna (nell’installazione coreografica The Mountain Body, Norangsdalen di Helle Siljeholm, 2021) o dormienti nel mezzo addirittura di un’aperta radura, fra cespugli e zanzare, come in Sonno (2021) di Cristina Kristal Rizzo (tema già in Ultras. The sleeping dances, 2019; e poi nel tripartito progetto Monumentum The Second Sleep 2022-2023), oppure assopiti tra i sedili di un’auto d’epoca, in transito per uno spazio urbano nella performance di Virgilio Sieni (Sleep in the car 2024) proprio perché il sonno, come ricorda Hans Blumenberg riferendosi a Goethe, «è la forma estrema della fuga dalla realtà, della riduzione delle sue esigenze, per proteggere l’identità dall’irrompere della storia nella sfera protetta di una vita autocreata».
            Oggi, la danza è sonno. In termini storici esiste almeno un doppio paradigma che affianca (forse anche assimila) all’atto del dormire, l’esperienza del sonnambulismo e quella (meno passiva) dell’ipnosi: in danza, risale al 19 settembre 1827 La Somnambule ou l’arriveé d’un nouveau Seigneur di Jean-Pierre Aumer, mentre August Bournonville, realizzerà The Sleepwalker il 21 settembre 1829. Lo stesso anno, il 1829, de La belle au bois dormant di Jean-Pierre Aumer; mentre la partitura di Pëtr Il’ič Čaikovskij, Spjaščaja krasavica, è del 1889, mentre è del 1890 la prima al Mariinsky dell’omonimo balletto (Ballet-féerie in 3 atti con un prologo e apoteosi) coreografato da Marius Petipa, con il libretto tratto da Perrault scritto dal principe e sovrintendente dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo, Ivan Vsevoložskij, che si occupò anche dei costumi per una ambientazione ispirata ai balletti delle corti europee del XVII secolo: vale la pena di ricordare che la protagonista fu interpretata dall’italiana Carlotta Brianza (nel ruolo di Aurora), accanto al russo Pavel Gerdt (nel ruolo del Principe Desiré). Già l’illustrazione originale della fonte principale La belle au bois dormant di Charles Perrault, nelle sueHistoires ou Contes du tempe passé (1697), propone una situazione di eros immobilizzato tra sonno e risveglio. Questo sonno collettivo capace di sospendere il tempo del male, nella fiaba di Perrault, lo ritroviamo documentato nell’illustrazione della scena della camera da letto di Aurora (Atto 2, edizione Petipa, 1890). Di questo storico allestimento ci restano alcune immagini di scena (ritratte in posa) tra cui la fotografia della camera da letto di Aurora, fra le coltri al centro immersa nel suo sonno, mentre attorno una corte reale dormiente occupa la scena e accompagna l’attesa del risveglio, mentre a un estremo lato sorveglia l’orizzonte, in piedi e immobile, la Fata dei Lillà (Maria Petipa). Lo scatto è emblematico. Tutte le figure (tranne la Fata) sono disposte in un gesto appeso: al proprio gomito, al grembo di una figura prossima, alle braccia conserte sulla seduta di una sedia, in piedi e con il volto spento appoggiato a uno stipite, o addirittura con la testa assonnata che ciondola appesa al vuoto, davanti a sé.
            Questa centralità dell’esperienza catalettica, qui così bene trasposta, dovette colpire molto l’immaginario dei contemporanei, se in una immediata recensione (The Balettomane’s Grief, «Peterburgskaya gazeta», 5 gennaio 1890), dopo due giorni dal debutto, divenne addirittura occasione di lagnanza e dileggio: «In questa presunta opera coreografica non c’è alcun tipo di trama. Si riassume in poche parole: ballano, si addormentano e ballano ancora. Si svegliano e ricominciano a ballare. Non c’è peripezia, nessuno sviluppo della trama, nessun interesse a catturare lo spettatore, a costringerlo a seguire l’azione dello spettacolo».
            A questo doppio paradigma appartiene ad esempio Sonnambula (The Night Shadow, 1946) di George Balanchine. Lo stato narcolettico della protagonista, in un gioco seduttivo, apre su un piano erotico alternativo a quello tradizionale: la sonnofilia (o sleeping princess syndrome). E a questo proposito è possibile richiamare il progetto fotografico di Sophie Calle, Les Dormeurs | The Sleepers (1979), per la cui realizzazione l’artista ha invitato amici, conoscenti e sconosciuti a dormire nel suo letto. Hanno aderito ventisette persone, tra cui un fornaio, una babysitter, un attore, un giornalista, una sarta, un trombettista e tre pittori. Calle li ha fotografati svegli e addormentati, registrando segretamente ogni conversazione privata una volta chiusa la porta. Serviva un pasto a ciascuno e, se erano d’accordo, sottoponeva loro un questionario che sondava le loro predilezioni personali, abitudini e sogni così come le loro interpretazioni dell’atto di dormire nel suo letto. Questa sua prima mostra del 1979 comprendeva 198 fotografie e brevi testi. Il successivo libro d’artista The Sleepers contiene non solo tutte le fotografie e le didascalie, ma anche la sua personale narrazione, ossia come i dormienti arrivano, parlano, dormono, mangiano e se ne vanno. Le loro acute particolarità, talvolta sorprendenti, a volte accattivanti, si fondono quasi come in un sogno lungo otto giorni. In quest’opera, mentre osserva i dormienti, anche loro osservano lei, con reciproco candore.
            In danza, il lavoro di Enzo Cosimi, Hallo Kitty! (2002) ispirato al Giappone contemporaneo a partire dalle seduzioni del racconto La casa delle belle addormentate (1972) di Yasunari Kawabata, è pensato per sole interpreti femminili, e in una «indagine sfrontata e volutamente senza profondità» pone l’accento sull’atto del sonno come processo di femminilizzazione culturale nel Giappone di quegli anni, della colonizzazione degli stili di vita e dei modelli di consumo, una forma di provocazione e di ribellione verso la generazione dei padri. Per restare in Giappone, il progetto fotografico di Pawel Jaszczuk, High Fashion (Zen Foto Gallery, 2018), realizzato tra il 2008 e il 2010, immortala ‘colletti bianchi’ ubriachi che dormono nelle strade di Tokyo. Pawel, che all’epoca risiedeva in Giappone, usciva in bicicletta di notte per fotografare questi dormienti: nel 2009, ha pubblicato una zine intitolata “salaryman” in bianco e nero e limitata a 150 copie, che è andata sùbito esaurita. Successivamente ha selezionato questi ‘colletti bianchi’ addormentati in pose che ricordano modelle per un fotolibro nello stile di una rivista patinata, da qui il titolo High Fashion. Secondo Pawel, questo corpus di lavori non è assolutamente una dichiarazione contro il bere: all’inizio, più lo interessava il semplice contrasto tra uomini vestiti bene e le strade sporche sulle quali i loro corpi si erano abbandonati, ma nel tempo è emersa una vena umoristica e apocalittica di questa società oberata di lavoro e carica di stress.
            Infine, in una delle più belle recenti performance, The Garden (2024) di Gaetano Palermo, un corpo femminile immobile è disteso a terra faccia in giù, con una cascata di riccioli biondi, e le braccia distese sui fianchi, sulla linea lontana del palcoscenico. Tutto qui. Certo, è «corpo immerso in un flusso di immaginari sonori capaci di ridefinirne ogni volta i contorni», e ogni spettatore costruirà la propria drammaturgia da sé, mentre lo sguardo si spegne su questo corpo dormiente. È il sonno dello spettacolo, il punto cieco della visione, l’essere assenti a se stessi, la campana a morte della rappresentazione, il presagio di una liberazione dalle ombre e dagli incubi del tempo, dell’insonnia: siamo finalmente in fuga senza sogni per un irriducibile giardino, spazio dell’ozio in cui «vedere che non si vede niente e che non c’è niente da vedere», come ammonisce Nancy: «senza pretendere di scorgere l’invisibile».
            Per Alexei Penzin dormire è un ostacolo naturale ai valori pragmatici stabiliti nelle moderne società capitaliste per secoli (produttività, efficienza e razionalità). Il fenomeno del sonno nel corso della storia del pensiero filosofico e politico è in parte negativo, come nel progetto di Platone di uno Stato ideale, perché, sostiene Platone nelle Leggi, quando i cittadini di questo Stato dormono perdono il collegamento sia con il logos, la razionalità, sia con il corpo politico della società; il potere moderno, come è stato notoriamente descritto da Foucault e poi da Deleuze, è strettamente correlato a una moltitudine di dispositivi di monitoraggio, controllo e localizzazione, che non smettono mai di funzionare, di conseguenza “non dormono”; questo funzionamento ininterrotto, o vigilanza del potere, abbraccia l’intero corpo della società. Un modello positivo per comprendere il sonno può essere trovato negli scritti di Aristotele, nel trattato Sul sonno e la vegliae nella Metafisica: qui il sonno non è collegato al logos, alla ragione, ma è visto piuttosto come parte del processo della vita, nel quale gioca un ruolo cruciale impedendo lo spreco immediato di energia vitale: il sonno sospende le facoltà umane e le (ri)carica di nuovo potenziale.
            Anche Emmanuel Lévinas pensa al sonno come un “supporto” per la formazione del soggetto, paragonando un essere umano addormentato a un rifugio dalle pressioni e dalle brutalità del mondo quotidiano della veglia, caratterizzato da una razionalità anonima e alienata. Lévinas conia una metafora bella e molto contemporanea (e cinetica) che collega il sonno al nostro essere soggettivo: ossia, che il nostro essere è come il bagaglio che lasciamo cadere ogni giorno quando ci addormentiamo.
Nel sonno siamo come assoluti “soggetti senza essere”, ma esistiamo comunque, in una forma potenziale, che è il terreno sicuro, muto e segreto della nostra esistenza.

È prevista la pubblicazione di un numero monografico (italiano/inglese) di Mimesis Journal alla fine del 2026. Si invitano le interessate e gli interessati a proporre un contributo nelle aree degli studî di danza e della performance, coerente con questi temi, a partire dai topics elencati qui di séguito con una prima bibliografia, cui riferirsi liberamente, eludendo il più possibile rappresentazioni di natura didascalica e/o essenzialiste. Le proposte di contributo in forma di abstract [max 300 parole] devono essere inviate entro il 30 giugno 2025. I saggi accettati dovranno essere inviati entro e non oltre il 1° febbraio 2026, redatti secondo le norme della rivista. I contributi verranno sottoposti al processo di peer review.

Contatti: mmelpignano@utep.edu, stomassini@iuav.it

Tematiche:

  • danza e politiche del sonno
  • balletto e poetiche del sonno
  • danza e ipnosi
  • performance e sonno in rivolta
  • gestica sonnambula
  • posture dormienti
  • figure dormienti
  • danze/danzare al buio
  • movimento narcolettico
  • visioni fantasmatiche
  • danze al limite
  • coreografie dell’inattivo
  • coreografie della caduta improduttiva
  • coreografie dell’intempestivo
  • coreografie dello stare fermi e della stasi
  • coreografie delle alterazioni
  • coreografie dei poteri catartici
  • dormire e azione teatrale

Bibliografia di riferimento:

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